«Intenso. Visionario. Lirico. Introspettivo. Fateci caso, di solito questi termini non sono quasi mai usati quando si parla di uno scrittore di polizieschi; eppure, nel caso dell’opera di Roberto Santini, sono di gran lunga gli aggettivi che meglio definiscono la sua arte, il suo spessore intellettuale, la sua perizia narrativa, la sua incredibile capacità di essere contemporaneamente dentro e fuori (o meglio, al di là) del genere.
Ho avuto il privilegio di propiziare la pubblicazione degli ultimi due romanzi di Roberto, Tre farfalle d’argento e La porta di sangue, entrambi legati dalla ricorrenza dello stesso personaggio principale, il vicecommissario Fernando Magnani. Ebbene, è difficile catalogare queste due opere semplicemente come noir, ovvero come specifiche “forme” narrative che rispettano in modo pedissequo una serie di “luoghi comuni”. Nell’arte di Roberto c’è molto, molto di più. Pur partendo dall’intento (implicito nel genere) di intrattenere e divertire il lettore con storie ad alta tensione e intrecci a prova di bomba, l’estro di Santini si dedica alla definizione di psicologie, climi ed atmosfere con una sottigliezza d’analisi e una potenza espressiva che hanno pochissimi riscontri nel panorama italiano della narrativa di genere. È questo che rende grande la sua opera: accettare umilmente tutti i presupposti tematici del poliziesco allo scopo precipuo di utilizzarli come strumenti di una grande orchestra, laddove ciò che conta non è il singolo suono del singolo strumento, bensì l’esito complessivo della sinfonia, che scavalca e trascende ogni singolo apporto. Tempo fa, in una mail, Roberto mi diceva di avere due grandi numi ispiratori, Leonardo Gori e Ben Pastor. Questo è indubbiamente vero; del resto ciascun scrittore deve sempre qualcosa a qualcuno, consapevolmente o inconsapevolmente. Eppure Roberto era in possesso di una sua voce, che ormai apparteneva a lui e solo a lui. Una voce forte, potente, non di rado sovvertitrice, sempre felicissima, e che, per tutti questi motivi, già ci manca moltissimo.»
Ho avuto il privilegio di propiziare la pubblicazione degli ultimi due romanzi di Roberto, Tre farfalle d’argento e La porta di sangue, entrambi legati dalla ricorrenza dello stesso personaggio principale, il vicecommissario Fernando Magnani. Ebbene, è difficile catalogare queste due opere semplicemente come noir, ovvero come specifiche “forme” narrative che rispettano in modo pedissequo una serie di “luoghi comuni”. Nell’arte di Roberto c’è molto, molto di più. Pur partendo dall’intento (implicito nel genere) di intrattenere e divertire il lettore con storie ad alta tensione e intrecci a prova di bomba, l’estro di Santini si dedica alla definizione di psicologie, climi ed atmosfere con una sottigliezza d’analisi e una potenza espressiva che hanno pochissimi riscontri nel panorama italiano della narrativa di genere. È questo che rende grande la sua opera: accettare umilmente tutti i presupposti tematici del poliziesco allo scopo precipuo di utilizzarli come strumenti di una grande orchestra, laddove ciò che conta non è il singolo suono del singolo strumento, bensì l’esito complessivo della sinfonia, che scavalca e trascende ogni singolo apporto. Tempo fa, in una mail, Roberto mi diceva di avere due grandi numi ispiratori, Leonardo Gori e Ben Pastor. Questo è indubbiamente vero; del resto ciascun scrittore deve sempre qualcosa a qualcuno, consapevolmente o inconsapevolmente. Eppure Roberto era in possesso di una sua voce, che ormai apparteneva a lui e solo a lui. Una voce forte, potente, non di rado sovvertitrice, sempre felicissima, e che, per tutti questi motivi, già ci manca moltissimo.»
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